Le analisi sensoriali dell’olio d’oliva. Come farle? Vediamo cosa c’è da sapere tra obblighi e vantaggi competitivi.

L’olio d’oliva è senza dubbio un caposaldo della cucina e della cultura mediterranea, oltre a essere un “superfood” dalle molteplici proprietà benefiche conosciute ormai in tutto il mondo.

Negli ultimi anni si è diffusa maggiore attenzione e sensibilità sulla qualità e sull’origine del prodotto. In questo frangente le Istituzioni sono sempre più impegnate in attività di controllo per garantire ai consumatori la massima trasparenza sull’origine della materia prima e sul processo produttivo.

Le stesse aziende oleicole stanno investendo sempre di più per comunicare al pubblico le caratteristiche sensoriali del loro prodotto, utilizzando un vocabolario di termini (fruttato, piccante, al gusto di carciofo…) capace di evocare nel consumatore le sensazioni che ritroverà poi nell’olio o per associare una precisa origine territoriale.

Un prodotto così popolare e richiesto dal pubblico non è esente da tentativi di frode, che comportano un rischio per il consumatore in buona fede. Per questo motivo organismi come l’UE hanno predisposto regole molto precise per la classificazione e la messa in commercio dell’olio, regole che includono l’analisi sensoriale, da effettuare tramite panel ufficiali specializzati.

Il quadro normativo della classificazione sensoriale dell’olio d’oliva

In Italia, come negli altri paesi dell’UE, per la classificazione degli oli d’oliva si applica una normativa definita dal Regolamento CE 796/2002. La classificazione avviene in base a un’analisi chimica e ad un’analisi sensoriale dell’olio d’oliva.

Il panel di assaggiatori è composto da 8-10 persone che dovranno testare i campioni ed attribuire un punteggio per ognuno degli attributi di cui si valuta la presenza e l’intensità. Gli attributi vengono divisi in due macro categorie: positivi e negativi (o difetti).

Tra i positivi figurano i termini fruttato, amaro e piccante, tra i negativi invece la scelta dei possibili